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Sulis: “Continua
la mattanza nel commercio”
Un’indagine
dell’Osservatorio Confesercenti parla di un’estate nera:
tra gennaio e agosto sono stati persi 613 esercizi
nei settori commercio al dettaglio, alloggio e somministrazione
tra gennaio e agosto sono stati persi 613 esercizi
nei settori commercio al dettaglio, alloggio e somministrazione
Nei primi otto
mesi dell’anno il commercio al dettaglio in sede fissa ha registrato in Sardegna
un saldo negativo di 436 imprese, a fronte di 484 nuove aperture e 920 chiusure
(vedi tab. 1). Lo riporta un’indagine dell’Osservatorio Confesercenti
regionale della Sardegna.
Alloggio e
somministrazione: sparite 177 attività
Non va meglio tra
le attività registrate nelle divisioni 55 e 56 della classificazione Ateco 2007.
Ci riferiamo alle attività di alloggio e somministrazione (ricettivo, ristoranti
e bar) che, nei primi otto mesi del 2013, si sono ridotte di 177 unità, circa
l’1,3% del totale delle imprese registrate nei settori di riferimento (13.253
unità lavorative).
Il commercio si
sposta dal negozio alla strada
Alla crisi del
commercio in sede fissa corrisponde una relativa vitalità degli esercizi su area
pubblica che, dall’inizio del 2013, registrano nell’Isola 216 imprese in più.
Per quanto riguarda il commercio su area pubblica, da segnalare che la
percentuale di imprenditori stranieri nel settore è in costante aumento: negli
ultimi trimestri, infatti, circa un terzo dei nuovi iscritti è composto da non
italiani. Un fenomeno socio-economico che meriterebbe quanto meno un
approfondimento.
“Questa mattanza
– commenta il presidente regionale della Confesercenti, Marco Sulis – è dovuta a
diversi fattori: lo strapotere della grande distribuzione presente nel
territorio sardo; la mancanza di denaro disponibile al consumo da parte dei
cittadini sardi, in quanto gli stipendi hanno perso potere d’acquisto;
l’eccessivo numero di disoccupati e cassintegrati; il continuo drenaggio
fiscale. Se poi resterà in piedi l’ipotesi di aumento dell’Iva, siamo al
capolinea. Bisogna rimettere i soldi nelle tasche degli italiani, non c’è
scampo. La principale causa del blocco dei consumi, come confermano tutti gli
studi di settore, è dovuta essenzialmente alla scarsa disponibilità di soldi.
Ecco perché bisogna ridurre la pressione fiscale. L’aumento dell’Iva finirebbe
col peggiorare la già drammatica situazione perché colpirebbe tutti.
Indistintamente”.