. La battaglia per le accise, che valgono un miliardo di euro l’anno, riprende. I Riformatori sardi hanno deciso di presentare ricorso all’Alta Corte europea per sanzionare il governo italiano che ha bloccato la norma sulle accise votata dal Consiglio regionale all’unanimità. Lo annunciano il coordinatore regionale e il presidente del partito, Pietrino Fois e Roberto Frongia.
«L’articolo
8, comma 1, lettera d, e ancor più il
comma 2, dello Statuto Speciale della Regione Autonoma della Sardegna,
costituisce un grande risultato storico per la nostra Regione , riferito
all’esito finale della lunga iniziativa politica regionale denominata “Vertenza
sulle Entrate”, con la quale lo Stato riconobbe, con l’approvazione del
comma 834 della Legge 27 dicembre 2006, n.296,
a favore della Sardegna, tra le altre partite di entrate elencate dal
citato articolo 8, anche la compartecipazione, nella misura dei 9/10 delle
imposte di fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percette nel
territorio della regione e non solo ma
anche quelle, sebbene riferite a fattispecie tributarie maturate nell’ambito regionale e che affluiscono , in attuazione di
disposizioni legislative o per esigenze amministrative ad uffici finanziari
situati fuori del territorio della regione.
La questione di fondo è che
la compartecipazione sulle accise, in quanto imposta di fabbricazione maturate
nell’ambito regionale, gravanti sui prodotti petroliferi “fabbricati” in
Sardegna, la cui entità è dell’ordine di alcuni miliardi di euro, non viene
riconosciuta a favore della nostra regione.
Fa più comodo,
infatti, allo STATO CENTRALE,
interpretare, con una forzatura giuridica fantasiosa, che le accise siano delle
imposte di consumo e che quindi la compartecipazione debba essere riconosciuta
limitatamente alle “accise” riferite ai consumi avvenuti nell’ambito del
territorio regionale.
Il paradosso che si crea
è che così lo STATO non risparmia niente ma le compartecipazioni che dovrebbero
essere versate ai sardi vengano invece riconosciute alle regioni italiane nelle
quali i prodotti petroliferi fabbricati nella nostra isola vengono invece
consumati.
E’ indiscutibile che le
accise siano delle “imposte di
fabbricazione”, e stupisce come, pur di voler sottrarre alla Sardegna una
parte rilevante delle entrate dovuteci, si trovino mille argomentazioni, tutte
senza alcun fondamento giuridico, per
sostenere che le accise non sono delle imposte di fabbricazione ma imposte di
consumo. Ma stupisce ancora di più quando chi dovrebbe in prima fila difendere
le nostre prerogative statutarie, in funzione del proprio ruolo di governo
regionale, si prostra alla volontà dello Stato Centrale, allineandosi su
interpretazioni artificiosamente create per non riconoscere quanto ci debba
essere dato.
1)
Basterebbe
considerare che il prezzo finale che il consumatore paga sui prodotti
petroliferi è gravato dall’IVA (che viene quindi calcolata anche sulle accise )
per dimostrare che, non potendo in alcun
modo esistere l’imposta su un’imposta, è
fin troppo evidente che le accise siano a tutti gli effetti un’imposta di
fabbricazione e non imposte sul consumo, ma che
quindi concorrono a comporre il
costo complessivo del prodotto, insieme agli altri costi di produzione, legittimandolo come imponibile per il calcolo
dell’IVA. Se invece fosse un imposta di consumo lo STATO commetterebbe un palese
illecito nei confronti dei cittadini, applicando illogicamente
un’imposta su un’imposta .
2)
Un’altra
considerazione è derivata dalla organizzazione effettiva sull’imposizione e
riscossione delle accise: il prodotto finito, prima di uscire dalla fabbrica,
viene monitorato e misurato dall’Ufficio delle Entrate, che provvede ad
emettere delle note di addebito dell’imposta nei confronti dell’azienda
produttrice e nel contempo, emette un provvedimento di “sospensione temporaneo
del gravame tributario” finalizzato al trasferimento del prodotto in “depositi
fiscali” localizzati, guarda caso strano, fuori dalla Sardegna (lungo le coste
tirreniche e adriatiche). Una traslazione nel tempo dell’imposizione fiscale
che non muta però il soggetto sul quale grava il debito tributario.
3)
Il
riconoscimento della compartecipazione sulle accise a favore della Regione
Sardegna, come imposta di fabbricazione, nella misura dei 9/10, è opportuno ricordare che lo STATO intendeva
riconoscere alla nostra regione una sorta di “prezzo di compensazione” per
l’immenso danno ambientale creato dallo stabilimento di fabbricazione e
lavorazione dei prodotti petroliferi, localizzata in un punto incantevole delle
nostre coste, a vocazione turistica, al centro dell’area metropolitana di
Cagliari, sulla quale insiste una presenza di oltre 500 mila abitanti.
La partita in gioco per
la Regione Sardegna è molto elevata e i Riformatori Sardi l’hanno sempre
denunciata e indicata anche nel suo valore presunto se pur approssimato per
difetto.
Occorre infatti
considerare che in Sardegna si produce attualmente circa il 20% dell’intera
produzione nazionale di prodotti petroliferi gravati da accise e destinati al
consumo interno, che pertanto genera
circa 1/5 delle entrate misurate nel Bilancio dello Stato per accise
+IVA sulle accise, che complessivamente ammontano annualmente a circa 30 miliardi di euro.
Ricordando che la
compartecipazione riconosciuta sulle entrate regionali sull’IVA è nella misura
dei 9/10 di quella percetta sui consumi registrati nel territorio regionale
(lettera f del comma 1 dell’articolo 8 dello Statuto ) diventa immediato
calcolare che a fronte dei soli 450 milioni di euro che ci vengono corrisposti annualmente
come compartecipazione sulle accise, la regione Sardegna ha un credito annuale
verso lo STATO di ben oltre 3 miliardi di euro ogni anno.
Questo spiega perché lo
Stato su questo fronte sia completamente sordo alle richieste dei sardi e nel
contempo si prenda beffa di noi dal momento che, come se giocasse al gioco
delle tre carte , va a sostenere quando
gli fa comodo esattamente la validità della tesi opposta.
Con l’approvazione del
comma 1 dell’articolo 1 della L.R. n. 7 del 21 gennaio 2014, 2014 , con la
quale veniva approvata la Finanziaria ed il Bilancio di previsione per l’anno
2014, la volontà unanime del
Consiglio Regionale Bilancio Regionale, fu quella di mettere in mora lo STATO
richiedendo quanto ci era dovuto, in una misura se pur forfettaria annuale di 1
miliardo di euro.
Si registrò in quei
giorni politicamente un momento di grande spessore autonomistico della nostra
potestà legislativa.
La reazione dello Stato
non si fece attendere ed il 27 marzo del 2014, forse anche fuori dai termini di
ammissibilità, depositò un ricorso presso la Corte Costituzionale richiedendo
la dichiarazione di incostituzionalità dell’articolo 1, comma 1, della nostra
Legge Regionale 7/2014.
Questa straordinaria ed
esaltante volontà unanime del nostro consiglio Regionale è stata poi
incomprensibilmente e dolosamente dimenticata dall’attuale governo regionale,
che di fronte al ricorso dello STATO contro questo disposto normativo, ha
preferito, prostrandosi supinamente alla volontà dello Stato Centrale e mortificando
quindi non solo la volontà di tutti i sardi ma anche la nostra Autonomia
Statutaria, la cui forza era contenuta nel dettato dell’articolo 8, non
costituendosi nel giudizio e rinunciando a portare le proprie fortissime
ragioni del fondamento dei nostri diritti statutari di fronte alla Corte
Costituzionale.
I Riformatori Sardi sono
convinti che questa inerzia del governo regionale costituisca in ogni caso un
gravissimo atto di tradimento alla nostra Autonomia e che non poteva optare di
non scendere in campo per giocare una “partita” così importante per le Entrate
regionali.
Oggi parrebbe, a distanza
di tre anni, che i lamenti di questo
governo regionale contengano anche un non velato pentimento per aver consumato un atto di
tanta viltà nei confronti di tutti i
sardi».