dirLe anche noi che la famiglia si trova come non mai in difficoltà non Le sembri ripetitivo e che queste difficoltà sono economiche, morali e sociali è enunciare una ovvietà. La realtà dei fatti, circa 1/3 delle famiglie in Italia è costretta chiedere beni primari, volenti o nolenti, ci ha aperto gli occhi e non dovremmo più credere alle bugie raccontate per tenere su il morale e creare presunta positività. Disillusi quindi per i suddetti aspetti, oggi, con Lei, la nostra riflessione può, forse, essere diversamente positiva se parliamo di difficoltà di immagine della famiglia.
Si, Eccellenza carissima, quell’immagine effimera dalla quale, per nostra manifesta colpa, troppo spesso non riusciamo a prescindere e che genera non accettazione, emarginazione, rifiuto, impoverimento materiale e spirituale in una società troppo spesso edonistica, in un sistema di profitto generalizzato e che, sebbene in eccezioni, purtroppo troviamo anche là dove proprio non vi dovrebbe essere. Confessiamolo perciò per umiltà e, con coerenza, convertiamoci per fede.
Siamo attratti più dalle apparenze che dalla sostanza, spesso seguiamo un’immagine falsa ed esteriore piuttosto che quella vera ed interiore; all’oggi, riteniamo oggettivamente che non sia più il caso di pontificare.
La famiglia cristiana, quella di tutti i giorni, è condivisione, rispetto fisico e morale, annichilimento dell’uno nell’altro, del singolo nei multipli fino a divenire una carne sola, un corpo solo, una testa sola, un’anima sola per amare e per amore. Nel professarci seguaci del Cristo dovremmo ben saper tradurlo in concreto; infatti è dalle opere che si vedrà la fede di ciascuno di noi.
Ecco allora il deleterio dell’esteriorità che nel nostro caso significa pochezza, vacuità di comportamenti e forme, capziosità, distinguo, bizantinismi e nella sostanza ritrovare poi soltanto un inutile nulla.
“Ama e fai . . .” è più che sufficiente; non vi è da aggiungere altro se non l’esortazione a non stancarsi mai; allenare continuamente la capacità di ricominciare ad amare ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo.
Da dove si trae la fonte e la forza di questo insegnamento è ovvio: da quel Vangelo che andrebbe vissuto in modo radicale e che andrebbe testimoniato in tutte le azioni della nostra vita. Chiara Lubich ci ha solo ricordato questa verità manifesta e ci ha esortato a questo duro esercizio; si, duro esercizio, che ci vede spesso cadere e poi, per fede, rialzarci. Fede che il Santo Padre ha voluto vivificare in noi con questo anno speciale da poco iniziato e che sicuramente vedrà abbondanza di frutti: una buona misura, ben pigiata, scossa e traboccante. Che il nostro amore si concretizzi nelle opere ed ogni piccola opera grata a Dio, se congiunta a quella del fratello, per avere Gesù nel mezzo, può diventare universale. Abbiamo bisogno, lo riteniamo, di riscoprire le opere a partire da quelle spirituali; basta ostentazione di beni materiali, basta martellamenti di pubblicità, basta chiedere l’obolo per scopi spesso non condivisi, basta esempi deleteri di ruberie manifeste ed occulte, basta costruzione di cattedrali nel deserto che resteranno chiuse e vuote perché mancano gli spiriti per infondere loro la vita vera e vissuta.
Desideriamo ora presentarLe, in maniera più stringente e forse anche più spiritualmente dolorosa per quanto auspichiamo emerga in questo incontro, la necessaria cura verso le famiglie dei nostri fratelli divisi, separati, divorziati, sposi civilmente, uniti consensualmente o coppie di fatto perché sono “semplicemente” il nostro prossimo. Non ci turbino le situazioni che troveremo, non ci disarmi il nostro disagio, non ci spaventi constatare il dolore e che il nostro compatire sia sinceramente il “soffrire assieme”. Se ci fermassimo qui, non andremmo oltre un cliché negativo e di scarso amore; rallegriamoci perciò, ne abbiamo numerose prove, per i tanti casi felici dove ciò che era rotto ora è sanato, dove prima era il pianto ora è serenità e dove era rancore ora è accettazione reciproca. Ricerchiamo quindi tutti i possibili momenti di dialogo; non neghiamoci la speranza; concediamoci, in questa frenesia parossistica del vivere, il tempo per ascoltare oltre che sentire, per guardare oltre che vedere, accogliere oltre che giudicare, offrire nel dare e non per il falso dovere riflesso del perbenismo. Che ci tocchi quella pietra che scartata dai costruttori è diventata pietra d’angolo, che la durezza del nostro cuore non prevalga, ci inaridisca e ci renda sepolcri imbiancati.
Il nostro è solo un invito a riflettere assieme su realtà per le quali è tempo di tenere un diverso approccio, che la nostra non sia convenienza del momento; è tempo di una maggiore accettazione fraterna, nella sostanza e fuori da ogni esteriorità; è tempo di dare più che chiedere; è tempo di operai per la messe più che di questuanti.
Tutto negativo Eccellenza?
No, per nulla; il Gesù abbandonato in noi e nei fratelli è la notte del dolore a cui segue, noi lo crediamo ed indegnamente lo professiamo, l’alba sfolgorante della Pasqua.
Con fraterno affetto
le “Famiglie Nuove”