Come ho più
volte rappresentato ai suoi predecessori, il governo regionale della Sardegna,
dal suo insediamento, è impegnato a fronteggiare una crisi economica senza
precedenti nella storia autonomistica e, nel contempo, con determinazione, ad
individuare nuove prospettive di occupazione, crescita e sviluppo.
La crisi
però continua a mordere con effetti negativi gravissimi per l'occupazione, per
il sistema economico, industriale e sociale di tutta l'Isola, la cui portata ha
più volte superato il livello di guardia con rischi concreti per la pace
sociale e lo stesso ordine pubblico.
Spiace dover
sottolineare che il Governo nazionale ha avuto nel passato, e continua ad avere
oggi, forti responsabilità: vi sono alcune importanti partite aperte, decisive
per il futuro della nostra Isola che, purtroppo, non hanno ancora trovato
soluzione.
Profonde
sono le conseguenze dei ritardi accumulatisi nel tempo per il non avere
affrontato, entro i fondamentali principi dell’unità nazionale, i nodi storici
e le cause strutturali che non assicurano ai sardi parità di diritti e
condizioni rispetto al resto dei cittadini italiani, continuano ad ostacolare
lo sviluppo e rendono sempre più difficile contrastare la dura crisi che oggi
colpisce il tessuto sociale e produttivo.La nostra Regione, nel rispetto dei principi cardine della sua profonda e radicata cultura e tradizione autonomistica, non è mai venuta meno ai doveri di massima e leale collaborazione con il Governo nazionale. A questo profondo senso di rispetto istituzionale, continua però a non seguire una corrispondente risposta del Governo.
Non è stato sufficiente neanche il prezioso e qualificato intervento del Presidente della Repubblica che, a seguito di una Sua recente visita in Sardegna, aveva favorito la “riapertura” del confronto con il Governo Monti sui temi centrali della cosiddetta “Vertenza Sardegna”.
Un accurato dossier era stato da noi portato all’attenzione del Governo nazionale su questi temi prioritari riguardanti: la vertenza entrate e la ridefinizione del patto di stabilità; la continuità territoriale ed in particolare quella marittima; il riconoscimento della condizione di insularità, il federalismo fiscale e la zona franca; la riduzione dei divari infrastrutturali e lo sblocco delle risorse ex-FAS; le vertenze industriali di valenza strategica nazionale, come quelle del settore della chimica, della mineral-metallurgia (alluminio e carbone in particolare) e della produzione energetica.
Quattro settimane dall’istituzione del tavolo del confronto Stato-Regione (avvenuta con apposito DPCM), era stato il tempo definito dallo stesso decreto per chiudere i lavori ed individuare le possibili soluzioni per risolvere in particolare la questione delle entrate e del patto di stabilità. Con grande rammarico abbiamo dovuto rilevare che, ancora una volta, nonostante i propositi originari, anche quel percorso si è risolto in un nulla di fatto.
Caro Presidente, come Lei ben sa, essendo stato uno dei protagonisti che all’epoca si occuparono del caso, al nuovo regime delle entrate per la Sardegna si era pervenuti, dopo una pluriennale vertenza con lo Stato, proprio per sopperire alle gravi e palesi insufficienze determinatesi nel quadro finanziario regionale, come riconosciuto anche dall’Avvocatura dello Stato.
Non è
bastato, inoltre, che proprio sui temi delle entrate e del patto di stabilità,
si sia recentemente pronunciata la Corte costituzionale che ha, in modo
cristallino, riconosciuto le ragioni della Sardegna, sia sull’immediata
percettibilità delle nuove entrate, sia sulla correttezza dell’iscrizione delle
stesse nei nostri bilanci regionali, sia sul conseguente adeguamento
proporzionale del patto di stabilità che il Governo deve riconoscere alla
Sardegna. Pur in
presenza, quindi, di queste importanti novità del quadro normativo di
riferimento che riconosce le nostre ragioni, ancora una volta il Governo
“tradisce” la Sardegna.Non rimaneva
altra strada che intensificare, come abbiamo fatto, il ricorso alle vie
giurisdizionali per la difesa della legalità e dei fondamentali principi della
leale collaborazione istituzionale.
Abbiamo
anche dovuto procedere a notificare al Presidente del Consiglio dei Ministri un
atto di diffida e contestuale messa in mora per l’attribuzione delle somme
ancora dovute alla Sardegna. Un atto estremo, che sottolinea la gravità dello
scontro in atto. La Sardegna non intende certo sottrarsi agli obblighi di risanamento dei conti pubblici, ma non si possono però chiedere alla nostra Regione sacrifici di gran lunga superiori a quelli richiesti alle altre Regioni. La Sardegna chiede soltanto che, una volta per tutte, sia riconosciuto quello che stabiliscono le leggi di questo Paese. Null’altro.
Come ho più volte rappresentato ai massimi vertici dello Stato, mi permetto di richiamare in conclusione alcuni concetti da Lei ben conosciuti Presidente e per noi irrinunciabili. Il Popolo Sardo non cerca assistenzialismo. L’insularità è un fatto oggettivo e la specialità della Sardegna poggia su solide basi culturali, storiche ed identitarie. Nel solco della nostra tradizione autonomista, rivendichiamo solo ed esclusivamente il rispetto della nostra specialità, eguali opportunità e la rimozione delle disparità territoriali per quella reale coesione posta alla base dello stesso Trattato europeo.
Caro Presidente, per le ragioni esposte e per una più puntuale rappresentazione dei possibili percorsi solutori che auspico possano essere condivisi, Le chiedo di poterLa incontrare con tutta la consentita urgenza. Nel rinnovato clima di collaborazione politica ed istituzionale di cui il nostro Paese ha forte bisogno, sono certo vi possano essere tutte le condizioni per ristabilire equilibrio e correttezza nei rapporti fra il Governo e la Regione.
Confido, pertanto, che Ella saprà cogliere l'urgenza e
lo spirito di questo accorato appello che è anche, nel contempo, una piena ed
ampia disponibilità della Sardegna a fare la propria parte per la crescita e lo
sviluppo di tutto il nostro Paese