giovedì 23 luglio 2015

Menotti Garibaldi, un eroe di due mondi


Menotti GaribaldiVi sono delle persone che restano inesorabilmente legate al proprio cognome. Menotti Domenico Garibaldi, il primo dei quattro figli che Giuseppe Garibaldi ebbe da Ana Maria de Jesus Ribeiro Da Silva – conosciuta in seguito come Anita Garibaldi – fu uno di questi. Era nato in uno sperduto villaggio del Rio Grande, in Sud America, fra le cittadine di Mostardas e Sao Simao, il 16 settembre 1840, al tempo tempestoso in cui il padre aveva messo il proprio braccio al servizio dei rivoltosi riograndesi. Sarebbe morto a Carano, nel Lazio, nel 1903. Sessantatre anni vissuti a onorare quel cognome, quegli ideali, quelle norme comportamentali che oggi, forse risulterebbero financo esagerate, ma allora rappresentavano, e rappresentarono, per il giovane virgulto dei rivoltosi Farrapos riograndesi, l’unica possibilità di vita, l’elementare dignità dell’esistere. Il giovane ricercatore Marco Formato, parmense, ha seguito per anni la figura del primogenito di Garibaldi, ha ricercato con pazienza e con sagacia le tante tracce che Menotti lasciò nella sua vita di combattente a fianco del padre, di deputato poi, e di massaro infine, nella campagna romana afflitta dalla peste degli acquitrini delle paludi Pontine. La figura umana che esce da questa meticolosa ricerca, specialmente attraverso i tanti fogli d’epoca rintracciati nelle varie biblioteche, compendia l’immagine di un uomo profondamente legato al suo cognome, quindi al proprio destino. Un destino dispiegato fra due mondi diversi, l’America e l’Europa, uniti e contrapposti allo stesso tempo. Tomba di Menotti Garibaldi a CaranoUn destino iniziato a forgiarsi nella casupola sudamericana, povera d’arredi a stretto contatto con la miseria. Poi la ‘fuga’ in Italia, il ’48, la Repubblica Romana, la morte della cara madre, il lascito dello zio che permetterà al padre Giuseppe di acquistare un pugno di terra nella ‘derelitta isola di Caprera’, la sua carriera assieme all’anziano padre tuttavia sempre pronto a impugnare la spada a difesa della Libertà e del Socialismo. “Visse la vita semplice che sognava – scrisse Alfonso Scirocco parlando di Giuseppe Garibaldi a Caprera – con la famiglia, poche persone di fiducia, occupandosi della terra e degli animali”. E fu questa l’aria che respirò il piccolo Menotti. In realtà, poi, la vita che toccò a Menotti fu esattamente il contrario di quella che toccò al padre, anche se in vari momenti le due vite si incrociarono, si intrecciarono, parteciparono congiunte al grande sogno. Fu durante la spedizione dei Mille; fu a Bezzecca, ad esempio, nel 1866 quando il primogenito si meritò, a 26 anni, la medaglia d’oro al valor militare; fu a Digione, durante la guerra franco-prussiana del 1870 al comando un reggimento di truppe franco-italiane, dove si meritò la Legion d’Onore conferitagli dal governo francese, per aver strappato ai Prussiani una bandiera di guerra.
Menotti Garibaldi Casale di CaranoFinita l’epopea del Risorgimento Menotti passò da quel sogno libertario all’altro sogno della sua vita: l’agricoltura. E’ proprio sulla vita a Carano – oggi Carano Garibaldi, una frazione del comune di Aprilia (LT) – che l’Autore dedica le maggiori attenzioni sulla vita di Menotti Garibaldi. E ben ha fatto dacché sino a che fu vivo il padre, pare che il figlio lucesse della indiretta fama del grande Padre, e quindi occorreva una ricerca più addentrata nella sua vita posteriore al 1882. Entrato in Parlamento egli si dedicò al risanamento dei tanti problemi sociali che la Rivoluzione Italiana, rivoluzione guidata dalle élite capitaliste del Settentrione, aveva lasciato per strada. Il problema agrario, innanzitutto, quello dell’Agro Romano, abbandonato a se stesso, alla malaria e al banditismo da secoli e secoli, alla demolizione della grande – e improduttiva – proprietà fondiaria, al miglioramento della resa agricola tramite l’irrigazione, la semina scientifica, la pianificazione agraria, l’elevazione morale e materiale dei contadini. Un’impresa difficile, quasi impossibile per i tempi, che egli riuscì a portare avanti quasi esclusivamente sui suoi fondi. Fu questo “uno strano caso di sincera coesione – ha affermato Arnaldo Cervesato in un saggio del 1922 – fra l’interesse privato e la profonda idealità, ambientato nella quieta e operosa campagna romana”. Non troppo quieta per la verità perché osteggiata dai grandi latifondisti, battaglia compresa bene dagli elettori del collegio elettorale di Velletri che più volte gli confermarono il mandato, perché riuscisse a portare a termine parte della lotta contro la malaria – che fu pure causa della sua morte a 63 anni – incentivata negli ultimi anni del XIX secolo, ma condotta a termine solo verso la metà degli anni ’50 del secolo successivo. Operosità in nome della Fratellanza Universale, questa l’idea guida dell’uomo legato a Due Mondi.
Marco Formato
‘Menotti Garibaldi. Un eroe di Due Mondi’.
Paolo Sorba Editore, 2015 – 126 pagine, 18,00 euro.
info@paolosorbaeditore.it; www.paolosorbaeditore.it

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