Cinquanta milioni di euro ogni anno destinati esclusivamente ai Comuni delle zone interne e un vero e proprio piano Marshall per evitare che i Comuni della Sardegna centrale scompaiano. E’ questo il senso del testo dell'ipotesi di lavoro predisposta dal Centro Studi dei Riformatori sardi e in particolare da Franco Sergio Pisano. Si tratta di un primo passaggio importante per avviare una discussione sul tema, che vuole coinvolgere tutti i soggetti interessati, a partire dai sindaci dei piccoli comuni.
I recenti dati demografici pubblicati dall’ISTAT sulla popolazione residente in Italia al 1 gennaio 2015 hanno posto in grande evidenza tutta la drammaticità del problema dello spopolamento delle zone interne che sta portando molti dei piccoli comuni ad un veloce e inesorabile processo di estinzione.
Un processo quello dello spopolamento delle zone interne che in questi ultimi anni ha registrato una notevole accelerazione e che viene inutilmente urlato in coro da tutti i sindaci di questi territori. Un vero grido d’allarme che non può non essere interpretato come il suono della campana dell’ultimo giro mettendo in mora, in primo luogo, l’inerzia della Giunta Regionale.
L’incoscienza della classe politica sarda consiste proprio nel non saper valutare adeguatamente il danno irreversibile che dall’estinzione dei piccoli comuni dell’interno deriverebbe a tutta la nostra isola, sia in termini di cancellazione delle straordinarie e diverse identità socio-culturali e socio-economiche che i territori dell’interno hanno sempre rappresentato, e sia in termini di costo sociale per l’intera Sardegna per via dei processi di migrazione interna verso i poli di attrazione demografica esercitata dai comuni costieri.
Al 1 gennaio 2015 l’ISTAT dice che in Sardegna la popolazione residente è di 1.663.286 abitanti mentre cinque anni fa era di 1.672.404, dieci anni fa 1650.052 e quindici anni fa 1.654.470.
I numeri sono impietosi non solo perché registrano un calo demografico di oltre novemila abitanti, solo negli ultimi cinque anni, ma soprattutto perché si tratta di un saldo negativo originato dalla sovrapposizione di due fenomeni di estrema gravità: il primo quello della nuova devastante emigrazione, 16 mila persone, prevalentemente giovani, che hanno lasciato, loro malgrado, la Sardegna e il secondo quello di un calo spaventoso, percentualmente, il più alto in Italia, dell’indice di natalità. Le giovani coppie, insomma, in Sardegna non fanno più figli. Questo triste primato ovviamente porta ad un invecchiamento della popolazione con un incremento degli ultra sessantacinquenni di oltre il 31% (83.000 in più) e 75 mila abitanti in meno in età feconda (18-45 anni) pari ad una diminuzione percentuale del 9%.
Ma la vera grande tragedia demografica è riferita al fenomeno dello spopolamento delle zone interne verso le zone costiere. Una migrazione interna che sembra un esodo biblico e sposta decine di migliaia di persone dai piccoli comuni dell’interno, tutti piagati da un segno meno dell’indice demografico, ai comuni delle coste tutti caratterizzati invece da una crescita demografica abnorme e difficilmente gestibile.
Una economia quella della nostra isola che sempre più accentua la sua forma non omogenea detta “a ciambella” . Se i territori della Sardegna li rappresentiamo con diversi colori, a seconda degli indici di decremento o incremento della popolazione residente, si vede subito come tutte le zone più interne siano caratterizzate da un progressivo e sempre più grave spopolamento mentre i comuni costieri o che gravitano attorno all’area vasta di Cagliari sono tutti con indici di incremento demografico percentuale vistosamente elevati.
Non si tratta, perciò, di un problema solo dei Comuni a rischio di estinzione ma di tutta la Sardegna e la Regione deve urgentemente farsi carico del dramma territoriale, affrontandolo con urgenza con iniziative molto incisive e che siano realmente di contrasto a questo processo inesorabile di impoverimento della nostra regione.
La prima urgente iniziativa, che la Giunta Regionale riteniamo debba assumere e che i Riformatori Sardi hanno tradotto anche in questo prima bozza, è quella di cambiare radicalmente il metodo di riparto del Fondo Unico a favore dei Comuni della Sardegna, creando dei meccanismi di perequazione finanziaria a favore dei Comuni dell’interno rispetto a quelli felicemente localizzati nelle zone costiere.