giovedì 11 ottobre 2012

Legge stabilità: Cappellacci consegna lettera a Napolitano


 Il presidente della regione, Ugo Cappellacci - nel corso dell’incontro dei Presidenti delle regioni oggi al Quirinale - ha consegnato al Capo dello Stato, Girogio Napolitano una lettera per denunciare le conseguenze delle decisioni adottate dal Governo Monti che violano palesemente l’autonomia e i diritti dei cittadini sardi.
Di seguito il testo della lettera del Presidente Cappellacci al Capo dello Stato Napolitano

Illustrissimo Sig. Presidente della Repubblica italiana,

molto forti sono state le aspettative e la gratitudine della nostra Regione quando, nel corso della sua recente visita in Sardegna, Ella ha voluto ascoltare e comprendere le antiche e profonde ragioni del malessere della società sarda, legate anche alla nostra specificità insulare, impegnandosi a farsi portavoce delle stesse nei confronti del Governo nazionale.
Quel suo impegno si tradusse, nel giro di poche settimane, per iniziativa diretta del Capo del Governo Monti, nell’attivazione di un tavolo di confronto Regione - Governo che avrebbe dovuto approfondire le principale questioni aperte ed in particolare quelle riguardanti l’autonomia finanziaria e lo sviluppo industriale e infrastrutturale della Sardegna.
Gli esiti di quel confronto, e tutti gli ulteriori tentativi di composizione delle principali questioni aperte: da quelle riguardanti il nuovo regime delle entrate, a quelle dei divari infrastrutturali e della continuità territoriale, non hanno ancora sortito gli effetti sperati a causa di un comportamento del Governo a dire poco dilatorio, poco orientato al risultato e per niente attento a comprendere le ragioni delle diseconomie che colpiscono una regione insulare come la Sardegna.
A nulla sono serviti i recenti pronunciamenti della Corte costituzionale che ha, in modo cristallino, riconosciuto le ragioni della Sardegna, sia sull’immediata percettibilità delle nuove entrate, sia sulla correttezza dell’iscrizione delle stesse nei nostri bilanci, sia sul conseguente adeguamento proporzionale del patto di stabilità che lo Stato deve riconoscere.
A questo quadro di criticità, come noto, si sono aggiunte, per le condivisibili esigenze di finanza pubblica del nostro Paese, le azioni sistematiche di tagli e limitazioni della spesa nei confronti degli Enti locali e delle Regioni, e di quelle a Statuto speciale in particolare, che si sono abbattute come una terribile mannaia sulla già debole ed “irrisolta” situazione finanziaria della Sardegna.
Questi forti sacrifici richiesti alla Sardegna, anche per la irrisolta questione delle entrate e del patto di stabilità, avevano già oltrepassato il limite della sostenibilità con l’ultimo decreto legge riguardante la cosiddetta spending review. Quel provvedimento, peraltro, nel chiamare anche le autonomie territoriali ed in particolare quelle regionali alla realizzazione del vasto programma di revisione della spesa pubblica, risulta strutturato, ancora una volta, in forme e con contenuti del tutto illegittimi che mortificano le prerogative costituzionali delle autonomie speciali.
Come se tutto questo non bastasse, con la proposta di legge di stabilità approvata qualche giorno fa dal Governo, non solo si prefigurano ulteriori tagli per 500 milioni alle Regioni a Statuto speciale, ma è di tutta evidenza che con i provvedimenti varati si sferra un ulteriore ingiustificato attacco contro il regionalismo e contro le autonomie regionali speciali che  mette a rischio la coesione sociale nazionale.
Dopo anni di battaglie condivise per il decentramento e per un’ampia riforma federalistica del nostro Stato, mai completata, si propone, sull’onda dell’emotività, un’ipotesi di centralismo di ritorno che mina le fondamenta della nostra organizzazione statuale.
Non possiamo accettare che in maniera subdola si insinui l’idea che la specialità regionale, voluta dai padri della nostra Patria, possa essere oggi etichettata come un’anomalia da rimuovere o come una reliquia del passato.
Non è accettabile Sig. Presidente che i gravi e censurabili fatti che hanno colpito le Regioni e che hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica deprecabili comportamenti di certa classe politica, possano essere usati come scudo dietro il quale il Governo mina le basi costituzionali del nostro Stato ed in particolare le profonde ragioni, storiche, identitari e culturali dalla specialità regionale nel nostro Paese.
Non si può, con il pretesto di curare le patologie della democrazia, che ci sono e sulle quali siamo già intervenuti in Sardegna anche prima del Governo centrale, andare a tagliare non i benefici dei politici, ma i diritti dei cittadini.
L’idea che la legittimazione dell’articolazione dello Stato e il giudizio sull’operato della stessa possano essere posta nelle mani di un Governo tecnico-politico, rischia di rappresentare una pericolosa deriva per la democrazia e un’appropriazione indebita di quella sovranità che appartiene solo al Popolo.
Così com’è una pericolosa deriva quella che vede un progressivo ritiro dello Stato dai territori, accompagnato da un indirizzo politico che spoglia Regioni e Comuni delle loro competenze, lasciando, di fatto, soli i cittadini e privandoli di servizi essenziali.  Per la Sardegna sarebbe una desertificazione istituzionale che sconfinerebbe in una vera e propria secessione al contrario dello Stato dalla nostra Regione.
Per queste ragioni, la proposta di legge di stabilità del Governo Monti rischia di creare un solco che allontanerebbe definitivamente la Sardegna dall'Italia. Vanificherebbe tutti gli sforzi in atto per colmare i gravi e storici ritardi nello sviluppo, accumulatisi nel tempo, e renderebbe impossibile ogni tentativo di recupero dei divari legati all’insularità.
Sig. Presidente, anche a nome di tutta la comunità dei Sardi, interpretando una più ampia volontà comune che unisce i rappresentanti di tutte le forze politiche, parlamentari, regionali e locali, a prescindere da logiche di appartenenza, Le chiedo un Suo urgente intervento che riporti equilibrio e moderazione nei rapporti istituzionali e scongiuri il rischio di strappi che minerebbero la coesione sociale e territoriale  del nostro Paese.
  

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